MARIO MARTINI
(giocatore)
nato a: Montecatini (PT)
il: 16/03/1954
altezza: 200
ruolo: ala
numero di maglia: 9
Stagioni alla Virtus: 1970/71 - 1971/72 - 1972/73 - 1975/76 - 1976/77 - 1977/78 - 1978/79 - 1979/80 - 1980/81
statistiche individuali del sito di Legabasket
palmares individuale in Virtus: 3 scudetti
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QUATTRO + TRE
di Maurizio Roveri – da "Il mito della Vu Nera 2", 1971-1994"
"Arrivammo alla partita decisiva per lo scudetto, fra la sorpresa generale. Nessuno ci considerava. Come fossimo capitati lì per caso, o come fossimo degli usurpatori, perché da anni e anni la storia degli scudetti la facevano Milano e Varese. Tutti pensavano in quel 1976 che noi di Bologna non avremmo avuto alcuna chance nell'impatto con Varese e che il meglio di noi stessi l'avevamo già dato. Era pronta la festa per un nuovo trionfo della Mobilgirgi. Una affermazione della Virtus veniva ritenuta impossibile, in quei giorni i giornali scrivevano che se noi avessimo vinto sarebbe cascato il cupolone del palasport di Masnago. Tutto il mondo voleva convincerci che non avevamo neppure la più piccola delle possibilità. Dan Peterson era teso, irrequieto, la settimana del match di Varese, andava a frasi brevi, riunioni-lampo di trenta secondi. Prima della partita entrò nello spogliatoio l'avvocato. Porelli ci guardò, era fiero di noi, di tutto quel che avevamo prodotto in quel campionato. Disse una frase, solenne come sa fare lui, e a ricordarla ancor mi vengono i brividi. "Ci sono momenti nella vita in cui abbiamo dato il massimo, però ci si trova di fronte ad un ostacolo ancora più grande, e allora bisogna prendere il cuore e buttarlo oltre l'ostacolo". Prendere il cuore e buttarlo al di là dell'ostacolo: fu una frase così scioccante, così coinvolgente che sentimmo dentro di noi una forza sconfinata".
E quella Sinudyne andò in campo e vinse. Mario Martini ricorda così una delle più forti emozioni della sua carriera, raccontando come nacque lo scudetto del '76. Il settimo nella storia della Virtus. Bologna lo aveva aspettato per vent'anni.
"Io ero un mediocre giocatore - confessa Mario - eppure sono stato lì sei anni, perché forse servivo alla squadra. Certamente in quel periodo ci sono stati giocatori più forti di me che avrebbero potuto essere al posto mio nella Sinudyne, però sia Dan Peterson sia Porelli, e Terry Driscoll dopo, tenevano in considerazione anche altri aspetti e non semplicemente quello tecnico. Venivo considerato come uomo spogliatoio, come punto di riferimento, come filtro fra la società e la squadra. E mi usavano in questa maniera".
La mentalità, l'orgoglio, la capacità di essere un "duro". Risorse importanti, che possono fare di un giocatore mediocre un uomo vincente. Per anni Mario è stato accompagnato dalla fama di duro. Si faceva rispettare, dagli avversari sul campo, dai compagni di squadra dentro lo spogliatoio. E per questo Porelli lo ha sempre stimato moltissimo. Martini, proprio per questo libro, rivela un episodio risalente al 1981, quella volta che convinse l'avvocato a non ritirare la squadra prima d'una finale scudetto.
Porelli era pronto a farlo, doveva essere una clamorosa protesta: Mario ricorda: "Era la finale del 1981, contro Cantù. Noi senza stranieri, McMillian si era infortunato prima della finalissima di Coppa dei Campioni e poco dopo perdemmo per strada anche Marquinho, il brasiliano. Primo round a Cantù, vince la Squibb. A Bologna in gara-due il nostro riscatto. Una battaglia. Vinciamo noi. Succede che io in quella partita lì m'arrabbio tremendamente con Marzorati che s'era messo a fare una sceneggiata in mezzo al campo. il venerdì, due giorni prima di gara-tre, faccio una festa a casa mia con tutta la squadra. A mezzanotte trilla il telefono, è l'avvocato Porelli e tuona: "Sono in una riunione straordinaria della società perché oggi pomeriggio mi ha telefonato Allievi da Cantù. Loro dicono di non essere in grado di proteggerti se succede qualcosa. Mi ha avvertito che la gente là a Cantù ce l'ha con te. E allora io ritiro la squadra". Ma Avvocato, scherza? Ma che cosa vuol che mi facciano? E soltanto un modo per tentare di spaventarci, gli dico io". Quella notte Martini tenne per più di mezz'ora l'avvocato al telefono. E riuscì a convincerlo. La Virtus andò a giocarsi la finalissima per lo scudetto (persa 93-83) e Mario in quella partita giocò tre secondi. Renzo Ranuzzi, il coach, lo inserì nel quintetto di partenza. Con una mossa che sapeva di provocazione nei confronti del pubblico. Palla a due, un passaggio e poi... il cambio, Martini in panchina per tutto il resto della gara.
Martini a rimbalzo in una partita amichevole del 17 settembre 1975
UNA SENTENZA RIVOLUZIONERA' IL BASKET?
di Walter Fuochi – La Repubblica – 07/02/1987
Con la Virtus Basket ha vinto tre scudetti: '76, '79 e '80. Poi, lasciata una carriera di giocatore modesto, da panchina, ne è stato direttore sportivo: due stagioni, '81-82 e '82-83. Adesso, alla sua vecchia società, Mario Martini ha fatto causa. Si è rivolto al tribunale civile di Bologna per avere arretrati, liquidazione e contributi del suo doppio periodo alla Virtus: da giocatore e da dirigente. È una questione di 17 milioni, ma potrebbe aprire una breccia nell'ordinamento del basket, sport dilettantistico, di proporzioni imprevedibili. La causa davanti al giudice Monaci è stata rinviata al 16 aprile, con richieste di citazione, tra gli altri, di De Michelis (presidente della Lega Basket), Vinci (presidente federale), Carraro (Coni). Gianluigi Porelli, presidente della Virtus Dietor e vice di Lega, replica. "La sentenza ci interessa. Non come società, ma come intero mondo del basket. Oggi, per norme di statuto che discendono dalla normativa internazionale, una società non può avere giocatori inquadrati come dipendenti. Se il giudice stabilirà diversamente, il problema investirà tutte le strutture dello sport italiano a "status" dilettantistico". Il sindacato giocatori, per voce del suo presidente Villalta, ex compagno di scudetti di Martini, ha detto: "Lui non si è rivolto a noi, ma la vicenda ci tocca da vicino. Paghiamo le tasse e non abbiamo assistenza medica né pensione, anche se, istituendo un fondo di fine carriera, un primo passo avanti è stato fatto".
Martini va a canestro
(foto tratta dall'Archivio SEF Virtus)
IL MIO ARRIVO ALLA VIRTUS
di Mario Martini
“Arrivai alla Virtus a 14 anni e ho vissuto, insieme ai miei compagni, con Porelli la mia adolescenza e la mia giovinezza, visto che tutti i giorni lui e sua moglie Paola venivano a pranzare con noi alla foresteria. Ho fatto parte del primo gruppo di ragazzi che conquistò lo scudetto Juniores, che per Porelli fu come un titolo mondiale. Era un uomo molto umano, ci seguiva, ci rompeva all’Università, con noi non parlava solo di basket, ma della vita. Gli ero molto affezionato, dopo avere vissuto più con lui che con mio padre, che stava a Montecatini. Sono stato molto male per la sua dipartita”.
IL BLOG DEL COACH: MARIO MARTINI
di Dan Peterson - 30/10/2020
Mario Martini, un’ala di 204 cm, ha giocato per me tutti i miei cinque anni come coach della Virtus Bologna, 1973-78. Non è stato mai un titolare ma è stato un elemento importantissimo nella squadra. Anzi, ci ha fatto vincere lo scudetto del 1976. Mario aveva la V Nera stampata sul cuore. Uno che aveva, come dicono in America, ‘sangue nero,’ il colore della Virtus! Era un grande giocatore di allenamento, di spirito di gruppo, un leader anche se non era una stella. Aveva grande intelligenza e grande personalità, quindi credibilità e carisma con tutti i compagni, Americani inclusi. Ovvio, io lo volevo in squadra per questi motivi. Scudetto 1976. Abbiamo aperto il ‘Poule Scudetto’ con otto vittorie in fila. Eravamo primi perché avevamo una vittoria contro la forte Mobil Girgi Varese. La nona partita era il Derby con il Fortitudo, con il mitico Aza Nikolic in panchina e il ‘killer’ Dodo Rusconi come playmaker. Loro hanno giocato i primi 10’ da favola: 24-11 per loro! Il nostro tiratore scelto, Massimo Antonelli, il migliore amico di Mario Martini, stava giocando malissimo. Peggio non era possibile. Chiamai un time-out. Non volevo togliere Antonelli ma gli dovevo dire qualcosa per scuoterlo. Invece, ci ha pensato Mario! Non ho avuto il tempo per parlare e Mario saltò in faccia ad Antonelli: “TESTA DI …! STAI GIOCANDO UNA PARTITA DI MERDA!! SEI ADDORMENTATO! SE NON VUOI GIOCARE, DILLO A PETERSON!” Poi, questa è la versione che posso pubblicare! E’ stata una bordata tremenda. Nessuno ha parlato. Antonelli: “Mario, cosa dici? Sono sveglissimo.” Mario: “NO! CI STAI COSTANDO LA PARTITA E LO SCUDETTO.” Max ha cercato di rispondere. Terry Driscoll gli disse: “Stai zitto! Ha ragione Mario!” Gli altri titolari non gli rivolsero la parola. Antonelli si trasformò. Rimontammo e conquistammo la vittoria dopo un tempo supplementare, 84-81. Max chiuse la partita con un 9-su-9 da fuori, dalla lunga distanza. Oggi sarebbero tutti canestri da tre punti. Tutto merito di Mario Martini, che disse cose ad Antonelli che io non avrei mai potuto dire. Un discorso di una violenza inaudita. Ma necessario. Vorrei tanto prendere merito per la rimonta e la vittoria. Ma la verità è che Mario Martini salvò la situazione e la partita. Senza di lui, niente vittoria, niente Derby e niente scudetto. Mario non aveva, come dicono in Italia, peli sulla lingua. Prendeva il nostro massaggiatore, Marco Facchini, in giro ogni giorno, “Fac! Ma non c’era nessuno meglio di te come massaggiatore?” Anche con gli Americani. Nessuno azzardava a fare battute con Terry Driscoll. Mario, sì. John Roche arrivò da noi al mio ultimo anno, 1977-78, con un giubbotto dei Los Angeles Lakers. Mario, “John, Americano di Merda, a fine anno, voglio quel giubbotto.” Alla fine dell’anno, Roche gli ha dato il giubbotto. Ne ha avute anche per me. Ma preferisco non parlarne!!!
FORSE NON UN CAMPIONE MA A BOLOGNA UN'ISTITUZIONE: COMPIE 67 ANNI MARIO MARTINI
Arrivò a Bologna a quattordici anni, visse nella Foresteria voluta da Gigi Porelli, è cresciuto con la guida di Paola Porelli, vera anima di quella struttura. Ha segnato un'epoca, quella degli anni '70, la Virtus che dalla salvezza degli spareggi di Cantù arrivò fino a sfiorare la Coppa dei Campioni. Mario esordì in prima squadra proprio nella stagione che vide le V nere rischiare la retrocessione, era il 4 novembre 1970 e si giocava il ritorno degli ottavi di finale di Coppa Italia a Pesaro. I bianconeri erano già stati sconfitti in casa ed erano privi dell'americano Cook: al suo posto andò proprio Martini. Fu una netta sconfitta, nonostante i 32 punti di un generoso Renato Albonico. Rimase l'unica presenza di Mario in quell'annata. Nella stagione successiva arrivarono anche le prime presenze in campionato, ma soprattutto lo scudetto juniores nella finale di Castelfranco Veneto contro la Mobilquattro: in quell'occasione Martini mise a segno otto punti. La squadra milanese segna anche un altro momento importante della vita di Mario: nell'anno che seguì quel titolo giovanile entrò a far parte stabilmente della prima squadra e fu proprio contro la squadra meneghina che segnò i primi due punti in campionato l'11 febbraio. Non bastarono a evitare la sconfitta e rimasero gli unici di quel torneo, ma quell'anno ne segnò due anche in Coppa Italia.
Poi arrivano le sei stagioni più importanti, dal 1975/76 al 1980/81, con tre primi e tre secondi posti e due finali europee. Non è un campione, ma Porelli, gli allenatori Peterson prima e Driscoll poi ne riconoscono le doti di uomo spogliatoio. Peterson raccontò il ruolo che ebbe Martini in un derby fondamentale sulla strada dello scudetto 1976: "La nona partita era il Derby con il Fortitudo, con il mitico Aza Nikolic in panchina e Dodo Rusconi come playmaker. Loro giocarono i primi 10’ da favola: 24-11! Il nostro tiratore scelto, Massimo Antonelli, il migliore amico di Mario Martini, stava giocando malissimo. Peggio non era possibile. Chiamai un time-out. Non volevo togliere Antonelli ma gli dovevo dire qualcosa per scuoterlo. Invece, ci ha pensato Mario. Non ho avuto il tempo di aprire bocca e Mario saltò in faccia ad Antonelli: “testa di …! stai giocando una partita di ...! sei addormentato! se non vuoi giocare, dillo a Peterson! Fu una bordata tremenda. Nessuno ha parlato. Antonelli: “Mario, cosa dici? Sono sveglissimo.” Mario: "No! ci stai costando la partita e lo scudetto". Max ha cercato di rispondere. Terry Driscoll gli disse: "Stai zitto! Ha ragione Mario". Gli altri titolari non gli rivolsero la parola. Antonelli si trasformò. Rimontammo e conquistammo la vittoria dopo un tempo supplementare, 84-81". Mario Martini fu comunque anche un giocatore troppo sottovalutato. Il suo massimo punteggio furono i 15 punti quando la Virtus sconfisse il Pagnossin Gorizia per 98 a 91 nell'ultima giornata della prima fase 1977/78, sul campo neutro di Udine (quello di Gorizia era impraticabile per umidità).
Sono però altre le gare rimaste nella memoria degli appassionati delle V nere: è il 25 gennaio 1976, seconda giornata della poule scudetto, giorno del derby vinto dalla Virtus 88-71 con otto punti di Mario; è il 15 febbraio 1976 quando, contro Varese, a trentacinque secondi dalla sirena segna il canestro del più sette, quello della staffa, consegnando alle V nere una vittoria che dà alla Sinudyne, non solo il primato solitario in quella poule scudetto, ma anche la consapevolezza di poter vincere il campionato; è il 29 dicembre 1976 quando la Sinudyne vince 122-97 contro Forlì con sei punti di Martini, in una delle quattro occasioni in cui le V nere hanno toccato la quota 122, loro massimo punteggio in campionato; come pure sei sono i punti che Martini segna a Venezia il 9 gennaio 1977, contribuendo alla vittoria contro la Reyer 72-70; è il 4 novembre 1979 quando, contro il Billy Milano, la Virtus vince 101-89, con sei uomini in doppia cifra 35 punti di Cosic, 19 di McMillian, 13 di Villalta, 10 di Caglieris, Generali e, appunto Martini, che mette a segno un sontuoso 5 su 5 al tiro; è il 26 marzo 1981 quando la Virtus, dopo aver vinto il girone di Coppa dei Campioni affronta, priva di McMillian in finale il Maccabi, si trova sotto di tre punti a pochi attimi dalla fine, dopo una serie di decisioni arbitrali sfavorevoli e Martini segna il canestro del meno uno subendo un fallo, non fischiato, che avrebbe dovuto dargli diritto a un libero aggiuntivo, con la possibilità di portare le squadre al supplementare; è il 22 aprile 1981 quando la Virtus, senza McMillian e Marquinho gioca gara due di finale scudetto contro Cantù, che ha già vinto gara uno e si appresta a festeggiare, ma le V nere con otto giocatori a referto provenienti dal settore giovanile, più Caglieris e Villalta non ci sta, vince 85-79 con 19 punti di Generali, 18 di Bonamico, 16 di Cantamessi e Villalta, 8 di Caglieris e 6 di Mario Martini.
Abbiamo citato una gara record, una partita contro un avversario tradizionale come la Reyer Venezia, un derby, tre sfide contro le avversarie storiche lombarde, Varese, Milano, Cantù e un classico avversario di Coppa, il Maccabi, gare decisive per lo scudetto e finale europea: insomma Martini uomo spogliatoio, ma anche giocatore degnissimo di stare in quella Virtus vincente. Con quella stagione 1980/81 smise d'indossare la canotta con la V nera sul petto e il classico numero nove sulla schiena e terminò la carriera di Martini giocatore, ma non il suo legame con la Virtus, di cui divenne direttore sportivo.