ROBERTO CAVALLARI

 

Cavallari ai tempi in cui giocava e oggi

nato a: Ferrara

il: 25/11/1963

altezza: 205

ruolo: centro

numero di maglia: 14

Stagioni alla Virtus: 1990/91 - 1991/92

statistiche individuali del sito di Legabasket

 

INTERVISTA A CAVALLARI

di Stefano Budriesi - VNere - 29/09/1990

 

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Cavallari, possibile uomo chiave negli equilibri bianconeri, resta coi piedi per terra: "Qui si parla di Coppe, si fanno discorsi ambiziosi. Dove ero prima, si sognva la promozione in A2... Alla Virtus tutto è organizzatissimo, siamo seguiti ora per ora; questo mi fa sentire davvero un professionista, Sugar in allenamento è uno spettacolo, Johnson una specie di manuale. Il suo uso del corpo, i suoi movimenti dorsali che lo portano a tirare in girata spiegano bene come mai siano sempre due punti per lui. Chissà che non riesca a "carpirgli" qualcosa".

Cavallari parla di una scelta precisa.

 "Preferisco giocare dieci o dodici minuti qui, piuttosto che trenta da un'altra parte. Voglio migliorare: Bologna è una tappa importante. Mi è bastato il clima del derby in pre-campionato per capire che aria tira".

E poi quest'anno c'è anche l'Europa. Cavallari ha giocato solamente una volta contro una squadra straniera.

"Dobbiamo tornare all'84 - racconta il centro - quando la nazionale dell'Unione Sovietica, in tour in Italia, venne a Ferrara. Nelle briciole di gara che mi fecero disputare, me la dovetti vedere niente meno che contro Tkacenko. Un canestro lo feci, ma quanti ne ho beccati in faccia...".

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Cavallari pronto a scattare a rimbalzo sul tiro libero per anticipare Bosa (foto tratta da VNere)

BOB CAVALLARI, LA ROCCIA MADE IN FERRARA

di Marco Nagliati - La Nuova Ferrara - 02/06/2007



Le cose belle nascono per caso. "Vado a trovare mio padre sul lavoro, c’era anche Gino Piffanelli. Mi squadra, poi dice: "Tu, così alto, che sport fai?". Niente, gli rispondo. E Gino, di rimando: "Beh, allora da domani vieni in palestra e inizi a giocare a basket". Ecco, devo tutto al povero Gino". La fonte meravigliosa sta qui, in una frase semplice e burbera. L’avventura di Roberto Cavallari, ferrarese doc, parte inattesa e planerà in un pianeta meraviglioso: la Virtus Bologna. In altre parole, serie A1 e coppa Campioni. Quel giorno degli anni ottanta il piccolo-grande Bob mai avrebbe immaginato un viaggio simile, lui così alto ma con poca tecnica. Gentile e rispettoso. Diventerà, col lavoro e con un paio di uomini pazienti (vedi coach Michelini), un pivot rispettato per faccia tosta e capacità di menar fendenti. Cavallari è stato il primo e unico ferrarese ad essere cresciuto nel vivaio estense e poi approdato in alto, molto in alto.
"Eravamo io, Di Benedetto e Morelli - ricorda Roberto -: abbiamo iniziato insieme, vissuto le esperienze delle giovanili e fino all’anno scorso abbiamo giocato fianco a fianco nel Csi nella mitica Sunset Boulevard. Finiamo tutti lì, nel Sunset. E se non si gioca sono comunque cene a tutto spiano". Dunque, Bob viene reclutato da Gino e attacca: Zanella, 4 Torri e quando arriva la Mangiaebevi giovanili con la squadra di serie A. Va in panchina con i ragazzi di Calamai, contemporaneamente gioca in serie C. "Le prime esperienze vere, giocando, le ho fatte a Forlì in serie C - racconta -, penso che la gavetta serva davvero. Più che la tecnica, apprendi l’agonismo".
Nel 1986 torna a Ferrara, quando ci sono macerie. In due stagioni dall’A2 alla B2. Dal boom alla depressione ed un giovane Cavallari è indispensabile: "Io sentivo gran voglia di ricostruire. Il primo anno non andò bene, però poi arrivò l’avvocato Scopa e le cose cambiarono. Promozione ed investimenti giusti per la B1. Venne costruito il nucleo storico, solido, che poi arrivò alla serie A2. I primi due anni di semina furono con Michelini: campionati bellissimi. C’erano squadre super, noi chiudemmo quinti due volte ma nella seconda stagione rimanemmo fuori dai play off per differenza canestri. Una delusione enorme".
I mesi col "Michelo" sono stati incredibilmente formativi per Cavallari: infinito lavoro individuale, tutti i giorni. Settimane su settimane. "Michelini per me è stato fondamentale. Mi prese sotto la sua ala e mi fece crescere tecnicamente. Con lui il povero professor Pasquali, che curava la parte atletica. Ho trascorso due stagioni sempre con loro". Mai tempo fu speso meglio. Perché nell’estate del ’90, mentre la Pallacanestro Ferrara sta inserendo gli ultimi tasselli per puntare alla promozione, un sogno "esplode". Bob lo tocca con mano: "Mi chiamano da Bologna, dicono che sono dirigenti della Virtus. Il giorno dopo mi vogliono parlare. Vado col diesse Ferri ed il presidente Scopa, discutono col presidente delle V nere. Poi arriva coach Messina, mi guarda e va diretto: "Farai il quarto lungo, se accetti ci vediamo lunedì in palestra". Ovviamente dico sì, avevo niente da perdere. Una scelta giusta: ho vissuto due annate meravigliose".
A Ferrara, in cambio, giungono Guzzone e Zarotti e alla fine - pur con qualche ansia - i biancoverdi di Perazzetti salgono in A2. Pochi chilometri più in là, Bob diventa un’arma letale. Gioca e si fa sentire, sta al fianco di icone come Roberto Brunamonti, Clemon Johnson e l’istrionico Sugar Ray Richardson. Al top dell’A1 e pure in coppa Campioni... "Della coppa ricordo le trasferte infinite. Emozioni, il basket d’altissimo livello. Trovai il mio spazio, soprattutto il secondo anno perché eravamo in corsa su tre fronti (campionato, coppa Italia e coppa campioni; ndr) e in più si fece male Morandotti". Nel 1992 il trasferimento a Modena, poi Roma; quindi Forlì: "C’erano Niccolai, Attruia e Moltedo. A sorpresa fummo promossi in serie A1, battendo Rimini nello spareggio. Era una gara attesa, in più derby sentitissimo. Immaginatevi l’interesse attorno alla partita". Compiuta la missione, Cavallari torna dalle parti di casa. Il guerriero che lascia i campi di battaglia alla ricerca del riposo, dell’aria ferrarese: 4 Torri, S.M. Maddalena e il sopracitato Sunset Boulevard. Bob, il viale del tramonto... "Vado a vedere il Basket Club, certo mi fa nostalgia vedere gli altri giocare nel palazzetto in cui tante volte sono sceso in campo anch’io. È il tempo che passa e non puoi farci nulla. Giocare nella squadra della città in cui sei nato è straordinario e non lo dimentichi più. La pallacanestro adesso è cambiata, i grandi talenti americani non vengono in Italia. Questione di soldi che altri paesi hanno e noi no".
"Noto maggiore fisicità e meno tecnica, pochi i pivot che si muovono spalle a canestro. Ora anche i lunghi giocano spesso fronte a canestro, concludono da fuori. Ai miei tempi, mi fossi azzardato ad una conclusione dal perimetro, sai le urla di Messina... Sono epoche diverse e ci sta, però qualche sano contatto in area tra pivot non è da trascurare. Io qualche bottarella l’ho data anche a un certo Bob McAdoo, campione Nba e della Milano di Peterson".